Servizi a domanda individuale. Le responsabilità dei comuni nella determinazione del contributo

Nell’evoluzione storica dei servizi erogati ai comuni, spiccano attività che hanno vissuto una fase di espansione economicamente rilevante fino a impegnare risorse di bilancio di cospicua entità volte a finanziare la voce dei cosiddetti servizi a domanda individuale. I volumi economici legati ad un accrescimento di questi servizi, chiama in causa il tema della riscossione dei contributi dovuti dagli utenti che hanno usufruito di queste prestazioni. Da qui l’importanza di ricostruire il fondamento giuridico e la natura degli stessi.

I servizi a domanda individuale trovano classificazione nel dm 31 dicembre 1983, emanato in attuazione del dl 28 febbraio 1983 n. 55, come convertito dalla legge 26 aprile 1983 n. 131. Il decreto prevede che i Comuni sono tenuti a definire, non oltre la data della deliberazione del bilancio, la misura percentuale dei costi complessivi di tutti i servizi pubblici a domanda individuale che saranno definiti con apposito decreto e che Per i servizi pubblici a domanda individuale, le province, i comuni, i loro consorzi e le comunità montane sono tenuti a richiedere la contribuzione degli utenti, anche a carattere non generalizzato. Nelle premesse allo stesso decreto ministeriale, si definiscono servizi pubblici a domanda individuale  tutte quelle attività gestite direttamente dall’ente, che siano poste in essere non per obbligo istituzionale, che vengono utilizzate a richiesta dell’utente e che non siano state dichiarate gratuite per legge nazionale o regionale e che non possono essere considerati servizi pubblici a domanda individuale quelli a carattere produttivo, per i quali il regime delle tariffe e dei prezzi esula dalla disciplina del menzionato art. 6 del decreto-legge 28 febbraio 1983, n. 55.

Il  decreto che elenca la tipologia dei servizi suddetti è il 31 dicembre 1983 “Individuazione delle categorie dei servizi pubblici locali a domanda individuale”, il quale, fra l’altro, esclude espressamente, dalla categoria dei servizi a domanda individuale, quelle attività che “siano state dichiarate gratuite per legge nazionale o regionale”, provvedendo all’individuazione e, quindi, alla declaratoria specifica delle singole tipologie di attività qualificabili come servizi a domanda individuale. Tra questi troviamo: case di riposo e di ricovero; asili nido; case vacanza e ostelli; colonie e soggiorni; impianti sportivi (piscine, campi da tennis, di pattinaggio, impianti di risalita e simili); mattatoi, mense comprese quelle scolastiche; mercati e fiere; teatri e musei; trasporti funebri e illuminazioni votive. La posizione di primo piano che conserva l’ente locale nella determinazione del prezzo pubblico è stato analizzato dalla sentenza del TAR Piemonte n. 1365 del 31 luglio 2014, in un caso riguardante le mense scolastiche. La qualificazione del servizio quale servizio pubblico a domanda individuale sta a significare che l’ente locale non ha l’obbligo di istituirlo ed organizzarlo. Se però decide di farlo, è tenuto per legge, nel rispetto del principio di pareggio di bilancio ad individuare il costo complessivo del servizio e a stabilire la misura percentuale di tale costo finanziabile con risorse comunali, e quindi, correlativamente, a stabilire la residua misura percentuale finanziabile mediante tariffe e contribuzioni a carico diretto dell’utenza (art. 6 comma 1 D.L. 55/1983; art. 172 comma 1 lett. e) D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267). Nell’esercizio di tale potere-dovere, ed in particolare nella quantificazione del tasso di copertura tariffaria del costo di gestione del servizio, il Comune gode di amplissima discrezionalità, che non trova nella legge alcuna limitazione in ordine alla misura massima imputabile agli utenti. La misura della contribuzione è quindi il frutto di una scelta di ampia discrezionalità riservata per legge all’amministrazione comunale.  La tariffa pagata dall’utente all’Amministrazione a fronte della fruizione di un servizio pubblico a domanda individuale non costituisce il prezzo della singola prestazione, e, in particolare, non è composta dalle sole voci di spesa sostenute dall’Amministrazione per erogare il singolo servizio ma rappresenta la misura della contribuzione dell’utente al costo complessivo sostenuto dall’Amministrazione per l’erogazione del servizio, determinato annualmente dall’Amministrazione, per obbligo di legge, tenendo conto non solo dei costi diretti, ma anche di quelli indiretti. Una volta determinato il costo complessivo del servizio (su base necessariamente previsionale) l’Amministrazione valuta, in relazione alle disponibilità di bilancio, la quota parte di esso finanziabile con risorse comunali e quella residua da porre direttamente a carico dell’utenza. La conclusione di rilievo che ne emerge è il permanere di una responsabilità in capo all’ente anche qualora venga completamente esternalizzata la gestione comprensiva della fase di riscossione con formula concessoria, in quanto il concessionario non è libero di determinare le tariffe per garantirsi l’equilibrio dei costi. L’analisi sopra delineata permette di inquadrare il contributo pagato per la mensa scolastica come entrata patrimoniale di diritto pubblico,  in ragione del fatto che il versamento è destinato alla copertura di un servizio pubblico secondo le regole del dm del 93, che prevede oneri gravanti sul comune mediante la fiscalità generale e sul singolo mediante contributo del singolo utente, definito anche in relazione alla capacità economica del soggetto mediante l’ISEE.

 

Informazioni su Cristina Carpenedo 193 Articoli
Direzione scientifica di SMART 24 TRIBUTI LOCALI del SOLE 24 ORE Presidente e amministratrice di Oesis s.r.l. Formatrice in materia di accertamento e riscossione di entrate locali, iscritta all’albo formatori IFEL (Istituto finanza enti locali) Formatrice per ANCI Emilia Romagna, ANCI Veneto e IFEL Autrice di pubblicazioni in materia di riscossione e tributi locali Funzionario responsabile per la riscossione pubblica con abilitazione di legge

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