TASSA E TARIFFA RIFIUTI NEL SETTORE DELLE IMPRESE

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TASSA E TARIFFA RIFIUTI NEL SETTORE DELLE IMPRESE

Legge 147/2013 – Art.1. Dalla tassa alla tariffa

Foto_articoli_paginaLa legge 147/2013 istituisce l’Imposta unica comunale comprendente tre articolazioni: l’imu, la tasi  e la TARI con ciò consacrando la natura tributaria delle principali entrate del comune. La Tari viene così ricondotta al bilancio dei comuni con attribuzione di poteri di regolamentazione notevoli, che devono rispettare i confini posti dalle stesse norme contenute nella legge 147/2013 unitamente al codice ambientale del decreto legislativo 152/2006.

Il comma 668 del medesimo articolo 1, ricordando l’esperienza di quelle realtà che già da tempo avevano introdotto un alternativo prelievo di natura corrispettiva fondato su criteri di misurazione del rifiuto prodotto, concede ai comuni di sostituire la TARI con una tariffa avente natura corrispettiva. Ineccepibile l’automatismo favorevole all’applicazione dell’IVA, non fosse altro per esplicita ammissione della norma anche se, come insegna la Consulta, il nomen iuris utilizzato dalla normativa, non è risolutivo ai fini dell’inquadramento del prelievo. Risolutivo è la sussistenza di un corrispettivo derivante da un nesso diretto tra servizio ed entità del prelievo.

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668. I comuni che hanno realizzato sistemi di misurazione  puntuale della quantità di rifiuti conferiti al  servizio  pubblico  possono, con regolamento di cui all’articolo 52 del decreto legislativo n. 446 del 1997, prevedere  l’applicazione  di  una  tariffa  avente  natura corrispettiva, in luogo della TARI. Il  comune  nella  commisurazione della tariffa può  tenere  conto  dei  criteri  determinati  con  il regolamento di cui al decreto  del  Presidente  della  Repubblica  27 aprile 1999, n. 158. La tariffa corrispettiva è applicata e riscossa dal soggetto affidatario del servizio di gestione dei rifiuti urbani.

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Il comma 667 della medesima norma affida a un decreto ministeriale l’individuazione dei criteri per la realizzazione da parte dei comuni di sistemi di misurazione puntuale della quantità di rifiuti conferiti al servizio pubblico o di sistemi di gestione caratterizzati dall’utilizzo di correttivi ai criteri di ripartizione del costo del servizio, finalizzati ad attuare un effettivo modello di tariffa commisurata al servizio reso, a copertura integrale dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati, svolto nelle forme ammesse dal diritto dell’Unione europea.

Il decreto non è stato ancora approvato, nonostante i numerosi tentativi di stesura di bozze che tentano di dare una forma ai possibili sistemi di misurazione in grado di collegare la tariffa pagata con il servizio reso per i rifiuti prodotti.

In ogni caso la formulazione del comma 668 è tracciato sul principi del chi inquina paga senza alcun rinvio esplicito alle singole norme della tassa rifiuti (TARI) e con la condivisione delle norme del codice ambientale nel quale trova spazio anche l’istituto giuridico dell’assimilazione dei rifiuti speciali prodotti dalle imprese, agli urbani.

COSA ACCADE PER IL MONDO DELLE ATTIVITA’ ECONOMICHE

Il mondo delle attività economiche è obbligato al versamento della tariffa (nell’accezione più ampia del termine) grazie al potere di assimilazione dei rifiuti speciali agli urbani, riconosciuto ai comuni dall’articolo 198 comma 2 lettera g) del codice ambientale, norma che permette di condurre nella categoria degli urbani i rifiuti prodotti dalle imprese. Questi, per definizione normativa, sono rifiuti speciali solo per il fatto di essere stati prodotti dalle attività economiche, indipendentemente dalla qualità. Solo se il comune adotta la delibera di assimilazione può ricondurre questi rifiuti e le relative superfici di produzione nell’ambito di applicazione della tariffa. Il titolo di legittimazione per l’esercizio della privativa risiede nella delibera di assimilazione, adottabile con modalità diverse in ordine alla qualità e alla quantità delle sostanze assimilate. Questo spiega la diversità delle situazioni che si possono incontrare tra una realtà e l’altra. I comuni possono decidere i livelli di assimilazione per i cosiddetti rifiuti assimilabili, mentre, resta fuori dal campo di azione la categoria dei speciali non assimilabili, in quanto per le loro peculiarità non possono rientrare nell’ordinario circuito di raccolta. Per questa ragione, ogni prelievo tariffario, deve essere in grado di calmierare il carico sulla base della specificità che si presenta. Gli interventi normativi degli ultimi anni si sono dimostrati sensibili a quest’area di criticità alimentando frequenti contenziosi con i comuni o il gestore.

Legge 147/2013 articolo 1 comma 649

  1. Nella determinazione della superficie assoggettabile alla TARI non si tiene conto di quella parte di essa ove si formano, in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali, al cui smaltimento sono tenuti a provvedere a proprie spese i relativi produttori, a condizione che ne dimostrino l’avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente. Per i produttori di rifiuti speciali assimilati agli urbani, nella determinazione della TARI, il comune disciplina con proprio regolamento riduzioni della quota variabile del tributo proporzionali alle quantità di rifiuti speciali assimilati che il produttore dimostra di aver avviato al riciclo, direttamente o tramite soggetti autorizzati. Con il medesimo regolamento il comune individua le aree di produzione di rifiuti speciali non assimilabili e i magazzini di materie prime e di merci funzionalmente ed esclusivamente collegati all’esercizio di dette attività produttive, ai quali si estende il divieto di assimilazione. Al conferimento al servizio pubblico di raccolta dei rifiuti urbani di rifiuti speciali non assimilati, in assenza di convenzione con il comune o con l’ente gestore del servizio, si applicano le sanzioni di cui all’articolo 256, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.

ANALISI DELLE SINGOLE NORME

Attuazione del comma 649

Si tratta della norma più complessa da attuare in quanto al suo interno ci sono ben tre capoversi da considerare.

Il primo periodo è una norma secca che dispone di non computare le superfici nelle quali si formano rifiuti speciali in via continuativa e prevalente

Nella determinazione della superficie assoggettabile alla TARI non si tiene conto di quella parte di essa ove si formano, in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali, al cui smaltimento sono tenuti a provvedere a proprie spese i relativi produttori, a condizione che ne dimostrino l’avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente

L’impatto di questa norma è strettamente collegato al circuito dell’assimilazione dei rifiuti speciali agli urbani. A tal fine è necessario che il comune abbia esercitato i poteri previsti dal codice ambientale all’articolo 198 comma 2 lettera g), che affida al comune l’individuazione dei rifiuti speciali per origine, in quanto prodotti dal mondo delle attività economiche, ma che diventano di esclusiva competenza del servizio pubblico nei limiti delle sostanze qualitative e quantitative indicati nelle stesse regole per l’assimilazione. Dal punto di vista qualitativo non tutto è assimilabile. In tal senso si parla di rifiuti non assimilabili, in quanto per loro tossicità non possono essere conferiti al servizio pubblico di raccolta. Dal punto di vista quantitativo la giurisprudenza ha spesso evidenziato l’importanza di dotarsi di limiti di quantità.

Ricordiamo che questi limiti non necessariamente vanno individuati per tutte le categorie delle attività, ben potendo essere circoscritti a quei settori che producono volumi rilevanti da rendere oneroso, se non addirittura limitato, il servizio che può essere offerto all’utenza non domestica.

Ciò premesso, l’impatto della regola secca del primo capoverso, sarà strettamente dipendente dai limiti quantitativi e qualitativi previsti nel canale dell’assimilazione. Tutte le volte in cui l’utente riesce a dimostrare la produzione continuativa e prevalente del rifiuto speciale, avrà diritto all’esenzione di quella porzione di superficie dal conteggio del dovuto. A tal fine devono essere rispettate due condizioni:

  • Produrre la dimostrazione dell’avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente
  • Indicare nella dichiarazione la porzione di superficie che presenta la suddetta caratteristica per il consolidato principio secondo cui all’ente compete dimostrare il presupposto di applicazione della tassa mentre al contribuente spetta dichiarare la destinazione d’uso che comportino limitazioni in tal senso (cass. 3660/2015; cass. 5047/2015)

Rinviando l’analisi del secondo periodo che vedremo in seguito, diamo precedenza ai contenuti della terza  parte, in quanto strettamente connesso, e che è stato oggetto di risoluzioni ministeriali e commenti diversi. Si tratta della questione relativa alle aree e ai magazzini collegati alle zone di produzione di rifiuti speciali Con il medesimo regolamento il comune individua le aree di produzione di rifiuti speciali non assimilabili e i magazzini di materie prime e di merci funzionalmente ed esclusivamente collegati all’esercizio di dette attività produttive, ai quali si estende il divieto di assimilazione.

Come evidenziato dalla nota risoluzione ministeriale 2df/2014,il potere previsto dal terzo periodo del comma 649 in commento, è esercitato dal comune nel solo ambito in cui gli è consentito, poiché laddove le superfici producono rifiuti speciali non assimilabili agli urbani, il comune non ha alcun spazio decisionale in ordine all’esercizio del potere di assimilazione.

In linea di massima si tratta di aree e magazzini dove, nella maggior parte dei casi, si producono rifiuti assimilati agli urbani e per questo tassabili. La disposizione impone di estendere il divieto di assimilazione quando queste aree e magazzini sono funzionalmente collegati alle zone produttive di rifiuti non assimilabili.

Il secondo periodo del comma 649 tratta il tema del riciclo di quei rifiuti assimilati che il produttore dimostra di aver avviato al riciclo.

Per i produttori di rifiuti speciali assimilati agli urbani, nella determinazione della TARI, il comune disciplina con proprio regolamento riduzioni della quota variabile del tributo proporzionali alle quantità di rifiuti speciali assimilati che il produttore dimostra di aver avviato al riciclo, direttamente o tramite soggetti autorizzati.

L’agevolazione comporta un abbattimento della quota variabile della tariffa. Nell’ambito della potestà regolamentare, con motivazione collegata al ciclo produttivo, è possibile prevedere un abbattimento proporzionale fino alla neutralizzazione della quota variabile, oppure fino a una parte. Per beneficiare dell’agevolazione è sufficiente la dimostrazione a consuntivo dell’avvenuto avvio a riciclo.

Legge 147/2013 articolo 1 comma 682 con particolare riferimento al punto 5) della lettera a)

Il comma 682 affida al regolamento TARI il compito di individuare categorie di attività produttive di rifiuti speciali alle quali applicare, nell’obiettiva difficoltà di delimitare le superfici ove tali rifiuti si formano, percentuali di riduzione rispetto all’intera superficie su cui l’attività viene svolta. Si tratta di uno strumento applicativo molto importante, spesso utilizzato per risolvere complessi casi di produzione contestuale sia di rifiuti speciali sia di rifiuti assimilati. Le attività che fanno ricorso a questa agevolazione sono sempre più numerose. Per questo è necessario tarare le singole tipologie secondo una logica razionale rispondente alla realtà produttiva. Solo per fare un esempio, anche gli uffici amministrativi iniziano a invocarne l’applicazione, ritenendo che vi sia produzione di rifiuti pericolosi. Condizione per usufruire della riduzione di superficie è la presentazione della dichiarazione e la dimostrazione dell’avvenuto trattamento dei rifiuti speciali.

Il comma 649 e il comma 682 sono circoscritti alla TARI. Si applicano alla tariffa corrispettiva?

La risposta è condizionata e dipende dalla capacità della tariffa corrispettiva di essere puntuale mediante la correlazione tra rifiuto prodotto e onere economico derivante dalla tariffa.

Il comma 668 è vuoto. Ciò significa che va sviluppato all’interno del regolamento tarip partendo dalla norma costruita per il sistema TARI. Ciascuna fattispecie delle fattispecie viste deve essere illustrata e tradotta nel sistema puntuale.

Da qui l’importanza di applicare una tariffa corrispettiva che non lo sia solo nella forma, ma lo dimostri nella sostanza, mediante la correlazione con il sistema di pesatura che, in quanto tale, deve essere in grado di redistribuire il carico tariffario sulla base delle caratteristiche peculiari di ciascuna utenza. Da qui si coglie l’importanza del regolamento ministeriale che dovrà essere in grado di dire quali sistemi minimali di raccolta garantiscono la correlazione. Tra gli elementi sintomatici da considerare spicca il peso della quota variabile rispetto alla fissa, spesso basata sulla superficie. In presenza di un sistema di raccolta puntuale, la correlazione con la parte variabile della tariffa supera la rigidità della superficie (criterio base del dpr 158/99) e offre un criterio aderente alla realtà.

La criticità maggiore rimane sulla componente fissa che, come noto, è fondamentale per la sopravvivenza del servizio e risulta  ancorata al criterio della superfice. Da questo punto di vista deve esserci un criterio di attenuazione tariffaria in aderenza alla strategia normativa che, certamente, è racchiusa in un comma che parla di Tari ma che trova spazio anche nella tariffa per la componente meno puntuale.

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Informazioni su Cristina Carpenedo 193 Articoli
Direzione scientifica di SMART 24 TRIBUTI LOCALI del SOLE 24 ORE Presidente e amministratrice di Oesis s.r.l. Formatrice in materia di accertamento e riscossione di entrate locali, iscritta all’albo formatori IFEL (Istituto finanza enti locali) Formatrice per ANCI Emilia Romagna, ANCI Veneto e IFEL Autrice di pubblicazioni in materia di riscossione e tributi locali Funzionario responsabile per la riscossione pubblica con abilitazione di legge

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